Prevalenza, caratteristiche e trattamento dello scompenso cardiaco diastolico in una coorte di pazienti ospedalizzati: lo studio PRESYF-HF Toscana

Italian Journal of Medicine(2009)

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摘要
Materials and methods We have studied a cohort of 338 consecutive patients admitted for HF at 24 Internal Medicine Units; all patients had a left ventricular ejection fraction (LVEF) echographically measured within 72 hours from hospital admission. Patients with LVEF ≥ 50% were considered to have preserved systolic function (PRESYF). The prevalence and the clinical characteristics of the patients were recorded as well the therapy at the admission and at the discharge. Pharmacologic treatment was analyzed for each category of drug normalized for equivalent dosage at the admission and at the discharge. Results The patients with LVEF ≥ 50% were 112 (33.1%); they were older than the subjects with depressed systolic function but the difference in our cohort was not statistically significant; the clinical presentation is similar but female sex, hypertensive ethiology, and elevated BMI prevail. ACE-inhibitors and diuretics are the most frequent drugs prescribed in both forms of HF, with no difference in prescription and dosage at the admission and at the discharge. Beta-blockers were prescribed at a higher dosage in the subjects with depressed than with preserved systolic function (17.86 ± 15.90 mg/die vs 9.69 ± 9.06 mg/die; p < 0.05). Discussion One third of patients admitted in hospital for HF has DHF; these patients differ from HF with depressed systolic function for female sex, hypertensive ethiology, and elevated BMI. Taking into account the advanced age of both groups (mean age 81 year) the treatment is aimed above all to control symptoms (actually diuretics are the most used drugs). No difference was registered in prescription and dosage of HF therapy in both forms, with the exception of a wider and a higher dosage of beta-blockers in depressed systolic function. Conclusions Diastolic HF is a diffuse problem in the real world and account for one third of inhospital admission. Patients are old, complex and present comorbidities. The treatment is still tailored more on single patient physiopathologic data than on evidence base. The prescription “habits” we have registered at the discharge from hospital are the snapshot of what the patients assume in the real world. Keywords Diastolic heart failure Systolic heart failure Heart failure treatment ACE- inhibitors Beta-blockers Introduzione Lo scompenso cardiaco diastolico (SCD) è un’entità la cui prevalenza e incidenza differiscono nelle varie casistiche in ragione di molteplici variabili, quali la tipologia dell’indagine (studio di popolazione o di coorte), il campione analizzato, il setting (ospedale o territorio), i metodi di rilevazione della funzione cardiaca ecc. La maggior parte degli studi epidemiologici si basa, per ovvi motivi di praticità e applicabilità clinica, sulla valutazione della funzione cardiaca tramite la misura della frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) con metodo ecocardiografico [1–3] . A rigore, la LVEF non studia la funzione diastolica, ma definisce se la funzione sistolica sia o no nella norma, per cui occorrerebbe sottolineare che, in effetti, la maggior parte degli studi epidemiologici sullo SCD riportati nella letteratura tratta più precisamente lo scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata (SCFSC). Studi recenti, pur riaffermando che la diagnosi certa di SCD è ottenibile solo con metodi invasivi, hanno altresì rimarcato come una diagnosi possibile e probabile possa essere formulata purché la LVEF sia ≥ 50%, rispettando sia un margine temporale ristretto entro cui effettuare l’indagine ecocardiografica sia un contesto clinico coerente [4] . Tali criteri pragmatici, che peraltro trovano raro riscontro in studi epidemiologici, potrebbero tuttavia aiutarci a definire la reale prevalenza del fenomeno che, almeno da quanto si desume anche da una recente metanalisi [5] , è compresa tra il 6% e il 51%: una differenza troppo ampia che sottolinea, ancora una volta, l’indeterminatezza del problema con tutto ciò che ne consegue in termini di approccio terapeutico, management, outcome ecc. [6] . In quest’ottica abbiamo condotto recentemente uno studio epidemiologico [7] volto a definire la prevalenza dello SCD in una coorte di pazienti ospedalizzati nelle Unità Operative di Medicina Interna della regione Toscana, cercando di attenerci a rigidi criteri di inclusione che definiscono tale sindrome come probabile, in base all’analisi ecocardiografica effettuata entro 72 ore dall’evento che ha determinato l’ospedalizzazione. Ciò ha consentito di analizzare la prevalenza del fenomeno, nonché di verificare di quanto differiscano le “abitudini” terapeutiche adottate nei pazienti con SCD rispetto a quelli con scompenso cardiaco a funzione ventricolare depressa (SCS), in una popolazione qual è quella che “storicamente” affluisce nei reparti di Medicina Interna (anziani, polipatologici ecc.) e che rappresenta più da vicino il mondo reale, tenendo conto che non esistono, tuttora, chiare indicazioni evidence based sul trattamento dello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata. Materiali e metodi Sono stati presi in esame tutti i soggetti affetti da scompenso cardiaco ricoverati nelle 24 Unità Operative di Medicina Interna della Toscana (Appendice 1) che hanno aderito allo studio nel periodo 15 aprile-30 giugno 2005. I criteri di inclusione nello studio prevedevano la diagnosi clinica di scompenso in base ai criteri di Framingham [8] . In tutti i soggetti sono stati registrati, oltre ai parametri demografici, la presunta causa dello scompenso, la modalità dell’invio in ospedale, se si trattava di ricovero ripetuto (ricovero entro 3 mesi dal precedente per la stessa causa), le comorbilità e le patologie pregresse. In tutti i soggetti sono stati eseguiti i seguenti esami di laboratorio: azotemia, creatininemia, uricemia, proteina C-reattiva, BNP o pro-BNP, Ca-125, colesterolemia, trigliceridemia, HDL-colesterolemia, glicemia, sodio, potassio, ormone tireotropo, emoglobina, PaO 2 , PaCO 2 e bicarbonati. In tutti è stata effettuata un’indagine ecocardiografica entro 72 ore dall’ingresso in reparto. I criteri adottati per definire la disfunzione diastolica del ventricolo sinistro sono stati quelli della consensus europea sullo scompenso diastolico [9] ma si è convenuto, ai fini dello studio, di adottare il solo parametro della LVEF misurata secondo il metodo di Simpson. Ciò ha consentito di suddividere la coorte nei seguenti gruppi: • LVEF < 50% (pazienti con scompenso cardiaco con funzione ventricolare depressa, eponimo SCS); • LVEF ≥ 50% (pazienti con scompenso cardiaco con funzione ventricolare conservata, eponimo SCD). Inoltre, si è registrata la terapia eseguita a domicilio e alla dimissione, tenendo conto delle seguenti categorie di farmaci: • antagonisti dei recettori dell’angiotensina II (ARB); • beta-bloccanti (BB); • ACE-inibitori (ACE-I); • agenti antialdosteronici (AAA); • diuretici dell’ansa (FUR); • calcio-antagonisti (CCB); • digossina (DIG); • agenti antiaggreganti piastrinici (APA); • anticoagulanti orali (OAC); • allopurinolo (X); • altri farmaci (O). Le dosi sono state normalizzate per il farmaco di riferimento: tutti gli ARB misurati in equivalenti di losartan, i BB in equivalenti di carvedilolo, gli ACE-I in equivalenti di enalapril, gli AAA in equivalenti di spironolattone e cosi via come riportato in tabella 1 . Statistica L’analisi statistica è stata effettuata applicando il test del Chi-quadro o il test di Fisher quando il numero non era sufficiente per la validazione del test del Chi-quadro. Tutti i risultati sono stati espressi in percentuali. I risultati relativi alle variabili continue sono state espressi come media più deviazione standard (DS). Laddove si era individuata una distribuzione normale della variabile in uso (test di Kolmogorov-Smirnov associato all’indice di Lilliefors) è stato applicato il test ANOVA. L’analisi statistica è stata condotta con supporto software Epi Info 6.0, distribuito dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), e con STATISTICA versione 6.0. Il livello di significatività è stato posto per p < 0,05. Risultati Hanno partecipato allo studio 24 Unità Operative di Medicina Interna delle 40 esistenti in Toscana (60%); con un’omogenea distribuzione geografica. La coorte indagata era composta da 338 pazienti consecutivi con età media di 81 ± 9 anni, di cui 156 maschi (46,2%) e 182 femmine (53,8%). I soggetti con LVEF ≥ 50% erano 112 (33,1%), quelli con LVEF < 50% 226 (66,9%). Nel gruppo con funzione sistolica conservata sono risultati prevalenti il sesso femminile, l’eziologia ipertensiva e un elevato indice di massa corporea (BMI); inoltre l’età media era maggiore, anche se non in misura statisticamente significativa. I pazienti con SCS hanno presentato, sia all’ammissione in ospedale sia alla dimissione, una maggiore compromissione funzionale in accordo con la classe NYHA; la mortalità intraospedaliera è risultata aumentata, ma in modo non significativo ( tabella 2 ). Le cause di ammissione in ospedale più frequentemente registrate nei soggetti con SCD sono state le crisi ipertensive e la fibrillazione atriale ( tabella 3 ). Il numero medio di farmaci assunto dai pazienti al momento del ricovero era minore di quello prescritto alla dimissione in entrambe le forme di scompenso (3,00 ± 1,49 vs 3,81 ± 1,27; p < 0,001). I gruppi di farmaci più frequentemente assunti prima del ricovero erano i diuretici e gli ACE-I, seguiti dagli antiaggreganti piastrinici e dalla digossina. Questi stessi farmaci erano i più prescritti alla dimissione, con frequenza significativamente maggiore per diuretici e ACE-I, spironolattone e allopurinolo. Nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata per gli altri farmaci ( tabella 4 ). Per quanto attiene alla posologia (tenuto conto della definizione di equivalenza per ogni gruppo farmacologico indicata in tabella 1 ), in tabella 5 è riportato il dosaggio medio dei farmaci (espresso in mg/die) in tutto il campione studiato, con confronto fra dose assunta prima del ricovero e quella prescritta alla dimissione. Un incremento statisticamente significativo si è registrato solo nella classe degli ACE-I e dei BB. Confrontando la posologia media di ciascun gruppo di farmaci nei due tipi di scompenso, non sono emerse differenze nelle dosi assunte prima del ricovero. Alla dimissione, invece, si è registrata una differenza statisticamente significativa delle dosi di BB nello SCD rispetto allo SCS (17,86 ± 15,90 mg/die vs 9,69 ± 9,06 mg/die; p < 0,05). Discussione Nella nostra coorte di pazienti ricoverati in Medicina Interna la prevalenza dello SCD è stata del 33%. Studi retrospettivi hospital based hanno dimostrato una prevalenza maggiore (dal 40 al 53%). La ragione di tale discrepanza può essere individuata nelle differenze, tra le popolazioni prese in esame, relative all’età [10,11] , al sesso [12,13] , alla razza [14] o nei diversi metodi impiegati per misurare la disfunzione ventricolare [2,15] . Laddove si sia usato il metodo ecocardiografico, si è spesso scelta una soglia troppo bassa (LVEF > 40%) per definire conservata la funzione sistolica ventricolare sinistra [16–18] . Inoltre, in questi studi, il tempo di esecuzione dell’esame è stato raramente preso in considerazione ed è evidente come ciò possa influire significativamente nel modificare la prevalenza del fenomeno. È ragionevole supporre, infatti, che un episodio di scompenso cardiaco indotto da un evento ischemico possa coincidere con una fase di depressione della funzione contrattile ventricolare sinistra nel momento dell’evento, e che successivamente essa possa regredire. Pertanto, registrare una LVEF “normale” a distanza dall’evento potrebbe indurci a classificare come SCD quello che in fase acuta era invece uno scompenso sistolico. Studi simili al nostro hanno dimostrato una prevalenza analoga a quella dei nostri dati, ma hanno peraltro confermato che è cruciale scegliere valori di LVEF sicuramente “normali”. In uno studio spagnolo su 328 pazienti ospedalizzati, con esame ecocardiografico eseguito entro 48 ore dall’ingresso [19] , la prevalenza dello SCD è risultata del 41%. Tuttavia, in questo caso, erano inclusi pazienti (prevalentemente femmine) con funzione ventricolare modicamente depressa (LVEF ≥ 40%). In un altro studio prospettico con ecocardiografia eseguita entro 72 ore, la prevalenza di LVEF ≥ 40% è risultata del 48% [20] . Le caratteristiche demografiche della nostra coorte sono simili a quelle di studi osservazionali effettuati nel medesimo setting [21,22] . I pazienti ammessi allo studio sono stati consecutivi e senza criteri di esclusione, per cui si possono considerare molto simili a quelli del mondo reale [23–25] . I nostri dati confermano che i soggetti con SCD sono soprattutto di sesso femminile e più anziani dei soggetti con SCS [26] . In questo gruppo, inoltre, sono compresi maggiormente pazienti con ipertensione arteriosa e con più elevato BMI. Le comorbilità erano ugualmente rappresentate in entrambi i gruppi. La fibrillazione atriale (FA) era più frequente nei soggetti con funzione sistolica conservata che in quelli con funzione sistolica depressa, ma in misura statisticamente non significativa. Complessivamente la FA è molto frequente nella nostra coorte, probabilmente a causa dell’età avanzata ed è noto che la FA è età-dipendente [27] . Per quanto riguarda la terapia praticata, occorre premettere che la maggior parte dei trial si è focalizzata sul trattamento dello SCS: fino a poco tempo fa nessuno studio è stato pianificato specificamente per definire le differenze di trattamento fra le due forme di scompenso. A tutt’oggi il trattamento dello SCD, come indicato dalle più recenti linee guida, è diretto a normalizzare la pressione arteriosa, a promuovere la regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra, a prevenire la tachicardia, a trattare i sintomi della congestione e a mantenere il ritmo sinusale: in realtà, più che su dati evidence based, è fondato sull’empirismo [28] . L’analisi retrospettiva di coorti marginali di pazienti con SCD arruolati in studi sullo SCS non ha, di fatto, chiarito se l’approccio terapeutico debba essere differente. Peraltro, se effettuiamo un’analisi retrospettiva sia dei trial più recenti sia dei nuovi trial sullo SCD, ci accorgiamo che in realtà essi non identificano questa sindrome sulla base dei rigidi criteri di definizione adottati nel nostro studio. In particolare, nel trial dell’ Ancillary Digitalis Investigation Group [29] , condotto in 998 pazienti con funzione ventricolare sinistra definita da una LVEF > 45%, è risultato che la digitale potrebbe ridurre l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco (end-point secondario) ma non la mortalità. L’analisi evidenzia, però, una mortalità solo del 7% e una reospedalizzazione inferiore al 20% nel primo anno di follow-up, e ciò pone dubbi sulla popolazione studiata (troppo a basso rischio!). Il trial PEP-CHF [30] ha preso in esame l’efficacia del perindopril, un ACE-I, in soggetti con ospedalizzazione per scompenso cardiaco nei 3-6 mesi precedenti, età > 70 anni e uso di diuretici e nei quali, all’arruolamento, la LVEF era compresa fra il 40% e il 50%. Lo studio ha concluso che la coorte era sottodimensionata (850 casi) per poter ottenere dati attendibili, in considerazione del fatto che, durante il follow-up (18 mesi), si era verificato soltanto il 40% degli eventi nel gruppo placebo. Ciò non ha consentito di definire differenze statisticamente significative fra i due gruppi. Inoltre, un terzo dei soggetti del gruppo di controllo assumeva farmaci attivi (soprattutto altri ACE-I). Il trial CHARM-Preserved [31] , studio in doppio cieco di confronto fra candesartan e placebo, ha arruolato 3.023 pazienti nelle classi funzionali II-IV da almeno 4 settimane o con una storia di ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco. È stata definita conservata una LVEF > 40%; 978 soggetti nel gruppo candesartan e 973 nel gruppo placebo avevano una LVEF > 50%. Gli end-point erano la mortalità e la riospedalizzazione. Lo studio, che coinvolgeva il 20% dei pazienti che stavano ancora assumendo un ACE-I, ha riportato una mortalità o una nuova ospedalizzazione a un anno del 9,1% nei pazienti del gruppo placebo e dell’8,1% in quelli trattati con candesartan, differenza che si avvicina alla significatività statistica (p = 0,118). Uno dei motivi addotti a giustificazione dell’assenza di risultato è stato che nella coorte studiata potessero essere stati inclusi pazienti con malattie respiratorie, obesità o affetti da episodi transitori di scompenso. Nessun dato è disponibile per i pazienti con LVEF > 50%. Nello studio SENIORS [32] , il nebivololo si è dimostrato efficace nel trattamento dello scompenso cardiaco negli anziani, indipendentemente dal livello di compromissione ventricolare; tuttavia, il sottogruppo con LVEF normale era del tutto marginale e per questa piccola coorte di pazienti mancano dati disaggregati, per cui non si possono trarre conclusioni. I risultati degli studi citati sono sintetizzati nella tabella 6 , che riporta anche i dati principali dello studio I-PRESERVE con l’impiego dell’irbesartan [33] . Un recente lavoro [34] sull’impiego dei beta-bloccanti nello scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata, pur indicando un effetto positivo sulla mortalità, che necessita però di una conferma in trial randomizzati controllati, di fatto ha incluso nel campione anche soggetti che presentavano una LVEF lievemente depressa (> 40%). Nel nostro studio, in cui i farmaci utilizzati sono quelli indicati dalle linee guida sullo scompenso cardiaco [35,36] , si osserva una tendenza all’aumento del loro numero dall’ingresso alla dimissione. Si nota ancora un relativo sottoutilizzo dei beta-bloccanti, anche se bisogna considerare che la popolazione della nostra coorte si caratterizza per un’età molto avanzata. In ogni caso, la percentuale dei trattati è maggiore alla dimissione. Non esistono sostanziali differenze prescrittive fra i pazienti con scompenso cardiaco a funzione sistolica conservata e quelli con funzione sistolica depressa, se si eccettua un uso maggiore dei beta-bloccanti in questi ultimi. I diuretici si dimostrano ancora una volta, nel nostro contesto, i farmaci più impiegati: ciò è giustificato dalla necessità di controllare anche i sintomi (dispnea, edemi ecc.) che caratterizzano la clinica e condizionano pesantemente la qualità di vita dell’anziano scompensato. Conclusioni I nostri dati sono relativi alle “abitudini” prescrittive dell’internista nella cura dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco e non sono, pertanto, il risultato di un trial randomizzato controllato, né prevedevano un follow-up per definire se tali abitudini fossero prognosticamente utili. Lo studio “fotografa” come venga trattato il paziente con SCD, in assenza di linee guida specifiche, tenuto conto delle caratteristiche, non solo demografiche, del paziente “complesso” ricoverato nelle UO di Medicina Interna della Regione Toscana. La terapia alla dimissione è quella che rappresenta “più da vicino” la prescrizione del mondo reale. Conflitto di interessi Gli autori dichiarano di essere esenti da conflitto di interessi. Appendice 1 UO di Medicina Interna che hanno partecipato allo studio PRESYF-HF Toscana UO Medicina Interna Responsabile UO Referenti Abbadia San Salvatore (SI) R. Castro Arezzo C. Pedace M. Bernardini Barga (LU) G. Rinaldi Bibbiena (AR) E. Santoro G. Parca Careggi 1 (FI) C. Nozzoli V. Verdiani Castel del Piano (GR) P. Corradini Cecina (LI) G.F. Landini Empoli (FI) G. Lombardo A. Dei Fivizzano (MS) M. Cozzalupi C. Gigli Grosseto M. Cipriani M. Alessandri Livorno 2 C. Bartolomei C. Carnesecchi Lucca 2 A. Nardini M.C. Andreucci, A. Tucci Montepulciano (SI) P. Biagi L. Abate, S. Bocchini Massa Marittima (GR) A. Brancato Pescia (PT) R. Laureano G. Panigada Piombino (LI) A. Testa Pisa 5 C. Passaglia G.C. Tintori Pistoia 1 G. Pettinà Pistoia 2 G. Seghieri F. Cipollini Poggibonsi (SI) W. Boddi A. Suardi Portoferraio (LI) D. Caniggia San Marcello Pistoiese (PT) E. Silvestrini Volterra (PI) R. Capiferri G. Vagheggini Bibliografia [1] P. Hildebrandt Systolic and nonsystolic heart failure: equally serious threats JAMA 296 18 2006 2259 2260 [2] M.A. Quiñones Assessment of diastolic function Prog Cardiovasc Dis 47 5 2005 340 355 [3] Q. Malki N.D. Sharma A. Afzal K. Ananthsubramaniam A. Abbas G. Jacobson Clinical presentation, hospital length of stay, and readmission rate in patients with heart failure with preserved and decreased left ventricular systolic function Clin Cardiol 25 4 2002 149 152 [4] R.S. Vasan D. 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